Cioni Carpi e Gianni Melotti alla Fondazione Ragghianti
Dopo le restrinzioni, riapre la Fondazione Ragghianti fino al 19 febbraio
la doppia mostra “L’avventura dell’Arte Nuova.
Previsto l’ingresso gratuito per tutti gli operatori sanitari
L’avventura dell’arte nuova | anni 60-80 dedicata ai due artisti Cioni Carpi e Gianni Melotti riapre le porte dopo la chiusura obbligata in ottemperanza alle misure per contrastare la pandemia. Il passaggio della regione Toscana alla colorazione gialla fa riaprire e prorogare fino al 19 febbraio la doppia esposizione negli spazi della Fondazione Ragghianti di Lucca che ha sede nel Complesso Monumentale di San Micheletto.
La prima mostra, curata da Angela Madesani, è dedicata alla figura di Cioni Carpi, nome d’arte di Eugenio Carpi de’ Resmini (Milano, 1923-2011), e alle sue sperimentazioni artistiche. Figlio d’arte, suo padre Aldo Carpi, fu pittore e storico direttore dell’Accademia di Brera, come lo furono i suoi fratelli Fiorenzo noto musicista, e Pinin, scrittore e illustratore per l’infanzia.
Dal 1959 al 1980 Carpi realizza numerosi film d’artista, attualmente ospitati da importanti archivi, fra i quali quello del MoMA di New York. Lavora anche molto per il teatro: sua è la prima scenografia costituita da un filmato per L’istruttoria di Peter Weiss al Piccolo di Milano nel 1966. E collabora con alcuni compositori come Paccagnini, Manzoni e Maderna, per i quali, in occasione della messa in scena delle loro opere, realizza filmati e proiezioni. Carpi, unico artista italiano, insieme a Franco Vaccari, a fare parte del gruppo della Narrative Art, ha inoltre utilizzato per la sua ricerca la fotografia, le installazioni, le proiezioni di luce, il video. Nel 1978 e nel 1980 ha partecipato alla Biennale di Venezia in due mostre curate da Vittorio Fagone, con il quale, nel corso degli anni, aveva sviluppato un rapporto di stima e collaborazione.
La mostra alla Fondazione Ragghianti presenta il percorso artistico di Carpi dal 1960 circa agli anni Ottanta. Sono esposte circa quaranta opere di grandi dimensioni tra dipinti, installazioni, lavori fotografici, filmati, installazioni, disegni, progetti e libri creati dall’artista in unica copia, ma anche documenti e cataloghi sull’opera di questo intelligente protagonista dell’arte della seconda parte del XX secolo.
La seconda mostra, a cura di Paolo Emilio Antognoli, presenta i risultati di una ricerca storica e archivistica, ancora inedita, riguardante l’opera di Gianni Melotti (Firenze, 1953) nel suo primo decennio di attività, dal 1974 al 1984. Le trenta opere in mostra evidenziano lo sviluppo storico-artistico e i rapporti che Melotti ebbe con alcuni artisti legati da amicizia e collaborazione, quali Lanfranco Baldi, Luciano Bartolini, Giuseppe Chiari, Mario Mariotti e altri artisti come Bill Viola legati alla sua esperienza in art/tapes/22, studio dedito alla produzione di videotapes per artisti di cui Melotti nel 1974 diviene il fotografo. Una consistente collezione di queste fotografie è oggi conservata all’ASAC della Biennale di Venezia.
La mostra vuole documentare lo sviluppo del lavoro di Melotti, conosciuto soprattutto come fotografo, la cui attività come artista è rimasta quasi del tutto inedita. A Firenze negli anni Settanta art/tapes/22 video tape production, Zona non profit art space, la Galleria Schema, la Galleria Area e la Casa Editrice e Libreria Centro Di sono state centri-chiave per l’arte contemporanea in Italia, da cui sono transitati grandi nomi dell’avanguardia artistica internazionale come Vito Acconci, Chris Burden, Daniel Buren, Urs Lüthi, Joan Jonas, Joseph Kosuth, Jannis Kounellis, Nam June Paik, Giulio Paolini, Robert Rauschenberg.
È attorno a questi spazi che si sviluppa un ambiente incline all’interazione fra le più diverse attività artistiche e culturali: architettura e design radicale, editoria, cinema d’artista, video, musica contemporanea e i nuovi off-media artistici quali il disco, il libro d’artista, il multiplo. E Gianni Melotti ne è stato senz’altro uno dei protagonisti, con un linguaggio concettuale dai risultati originali e trasgressivi.
Visitare le due mostre sarà anche occasione per ammirare la bellezza architettonica della Fondazione Ragghianti che abita gli spazi del complesso Monumentale di San Micheletto la cui storia inizia nel 720 con la costruzione del nucleo originario della chiesa dedicata appunto a San Michele. Alterne vicissitudini nel corso dei secoli hanno visto nel Medioevo dapprima ricostruire la chiesa nuova dopo un crollo e poi passare grazie ad una donazione alle suore del Terz’ordine fino a diventare nel 1460 il Monastero di San Micheletto consacrato alla regola di Santa Chiara. Il monastero fu attivo fino al 1806 quando con l’espropriazione dei beni ecclesiastici venne rilevato e destinato ad uso di scuderie per la residenza dei principi a Villa Buonvisi. Successivamente nel 1827 ritornarono le monache e furono avviati diversi lavori di restauro. Nel 1896, la giunta comunale chiuse il monastero pur concedendo alle monache di poter usufruire ancora parte di esso. Nel 1901 il Comune di Lucca lo riconsegnò alle religiose; in seguito, nel timore di nuove oppressioni, la comunità religiosa cedette la proprietà del Monastero all’Opera Pia di Terrasanta. Nel 1945 il Monastero, ormai abitato da un ridotto numero di monache, iniziò con alcuni istituti scolastici una serie di contratti di locazione della maggior parte dei locali compresi nell’ala nord del Complesso. Con l’abbandono del complesso da parte delle monache, nel 1972 San Micheletto diventò proprietà della Cassa di Risparmio di Lucca. Con la donazione proprio aIl’Ente bancario lucchese della biblioteca, della fototeca e dell’archivio dei coniugi Ragghianti si diede seguito al loro progetto di creare un laboratorio permanente di studio e un centro di esperienze culturali per la città di Lucca. Progetto che si è poi concretizzato nel 1981, con la nascita del Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti.