Padova Urbs Picta. I grandi cicli pittorici Patrimonio Unesco

Dal 2021 i cicli pittorici del Trecento, negli otto edifici di culto della città di Padova, sono entrati a far parte dei siti del Patrimonio mondiale

Sara Foti Sciavaliere

PADOVA: La “città dipinta” è la traduzione dell’espressione latina “urbs picta” usata per definire la città di Padova, che dal 2021, proprio per i suoi cicli di affreschi del XIV secolo, è entrata a far parte della Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. Non un unico sito riconosciuto, ma un patrimonio diffuso nel centro storico della città, che si può ammirare in otto edifici: Cappella degli Scrovegni, Chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo agli Eremitani, Palazzo della Ragione, Cappella della Reggia Carrarese, Battistero della Cattedrale, Basilica e convento del Santo, Oratorio di San Giorgio e Oratorio di San Michele.

Le pitture padovane illustrano di fatto come “diversi artisti abbiano introdotto un nuovo modo di vedere nel rappresentare il mondo, anticipando l’avvento della prospettiva rinascimentale. Queste innovazioni segnarono una nuova era nella storia dell’arte, producendo un irreversibile cambio di direzione”. È con tali parole che il Comitato del World Heritage List ha sostenuto il riconoscimento di Padova e del suo patrimonio pittorico trecentesco nella Dichiarazione di Eccezionale Valore Universale.
I cicli affrescati nella città veneta nel corso del XIV secolo, ad opera di diversi artisti a partire da Giotto, sono una straordinaria espressione di innovazione stilistica e tecnica per quanto riguarda la pittura ad affresco, che seppe dare una nuova immagine alla città e un nuovo corso alla produzione pittorica in Italia, tanto da costituire modello e ispirazione per lo sviluppo della pittura del Rinascimento italiano.

Gli artisti coinvolti in questo processo vivevano il fermento culturale e scientifico della Padova di primo Trecento, riuscendo a dare forma artistica alle nuove idee in circolazione e perseguendo, allo stesso tempo, un costante scambio di competenze. I siti dell’Urbs Picta testimoniano quindi una maniera del tutto nuova di intendere la narrazione in pittura, con inedite prospettive spaziali influenzate dai progressi dell’ottica e una capacità, fino ad allora ignota, di rappresentare le figure umane in tutte le loro caratteristiche, comprese quelle emotive.

Proviamo a fare una passeggiata alla scoperta di alcuni dei siti di Padova Urbs Picta, partendo dalla celebre Cappella degli Scrovegni. Intitolata a Santa Maria della Carità, si trova tra i ruderi dell’antica arena romana e in prossimità dei Musei Civici nell’ex Convento degli Eremitani. La cappella fu fatta erigere dal ricco banchiere padovano Enrico Scrovegni tra il 1303 e il 1305, come oratorio privato e mausoleo della famiglia. All’esterno si presenta una struttura dalle linee semplici e con i mattoni a vista, una trifora gotica decora la facciata, mentre sulla parete meridionale si aprono alte e strette vetrate che consentono un’ottima illuminazione naturale. Enrico Scrovegni affidò la decorazione degli interni a Giotto di Bondone, il quale si era già occupato degli affreschi di parte della Basilica del Santo e del Palazzo della Ragione. Gli affreschi della cappella -da considerarsi apice della maturità espressiva di Giotto, che segnarono “un punto di non ritorno per l’intera storia della pittura italiana” – propongono una sequenza di storie tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento: il programma iconografico fu affidato a uno dei religiosi dell’adiacente convento degli Eremitani e l’obiettivo era suscitare in chi entrava in quel luogo a meditare sul sacrificio di Cristo per la salvezza dell’umanità. La narrazione pittorica si svolge in trentotto riquadri disposti su tre registri lungo tre pareti.
Le due fasce superiori degli affreschi sono consacrate a Maria, della quale si intende sottolineare l’importanza come vera intermediaria nei confronti del Figlio per raggiungere la Redenzione; di fatto, non è un caso che i due temi dell’Annunciazione – l’inizio della salvazione dei cristiani – e del Giudizio Universale – la fine dell’esperienza cristiana – siano posti l’uno di fronte all’altro. Lungo la fascia inferiore delle tre pareti corre un zoccolo di finto marmo che, lungo i fianchi della navata, incornicia le figure allegoriche monocrome delle sette Virtù (a destra, dando le spalle alla controfacciata) e dei sette Vizi (a sinistra), in posizione contrapposta.

Giotto e i suoi affreschi saranno una novità anche per alcuni immagini che resteranno iconiche poiché fu il pioniere nella rappresentazione di determinati soggetti, e qui propongo un paio di esempi. Quello che può essere considerato il bacio più antico della storia dell’arte cristiana è inserito infatti proprio in una delle scene dipinte da Giotto: si tratta dell’ultima del ciclo di sei scene sulla vita dei genitori delle Vergine Maria, “L’incontro di Anna e Gioacchino alla Porta Aurea”, che mostra Anna, già in attesa di Maria, salutare il ritorno del marito con un tenero bacio sulle labbra. Allo stesso modo, la stella cometa, simbolo dell’Epifania, fu dipinta da Giotto per la prima volta nella Cappella degli Scrovegni, proprio nella scena dell’“Adorazione dei Magi” del ciclo delle Storie di Gesù: l’esegesi antica riconosceva nella stella il simbolo di un angelo quale manifestazione visibile dell’annuncio divino, e prima del XIV secolo in nessun dipinto della Natività o della venuta dei Magi compariva la stella cometa; sarà appunto Giotto il primo a inserirla con un atto rivoluzionario che mette da parte la tradizione medievale e diventando modello per artisti che lo seguirono. E pare che la cometa realisticamente dipinta da Giotto, il pittore l’avesse vista realmente attraversare i cieli nel 1301 e ne avesse tratto ispirazione, ossia la celebre cometa di Halley.

Dalla Cappella degli Scrovegni, passando dalla vicina Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo agli Eremitani, raggiungeremo la Cittadella antoniana con la Basilica del Santo e l’oratorio di San Giorgio.
Nella Basilica e nel convento di Sant’Antonio si conservano le prime testimonianze della presenza di Giotto a Padova, attivo nella Cappella della Madonna Mora e in quella delle Benedizioni e nella Sala del Capitolo, tra il 1302 e il 1303. Nella decorazione del convento si coglie come il maestro fiorentino pone le basi sulla prospettiva e nella resa degli spazi che troveranno una compiutezza in seguito nella Cappella degli Scrovegni. Nella Basilica però non troviamo solo Giotto, sono presenti i maggiori protagonisti della storia dell’affresco padovano del XIV secolo: Giusto de’ Menabuoi, Altichiero da Zevio, Jacopo Avanzi e Jacopo da Verona.
Nell’antica Sala del Capitolo si conserva un ciclo di affreschi che, per quanto lacunoso, si impone tra le opere più significative prodotte a Padova nel primo Trecento, un programma iconografico in origine molto esteso e incentrato sulle Storie di San Francesco. Affianco alla Sala del convento antoniano, l’andito che collega il chiostro della Magnolia a quello del Noviziato ospita sulle pareti altri due brani di affreschi ascrivibili alla mano di Giotto e della sua bottega con rappresentati il “Lignum Vitae Christi” e il “Lignum Viate Sancti Francisci”.

A destra della piazza del Santo si nota un elegante edificio romanico in cotto, è l’Oratorio di San Giorgio. Fu fatto edificare dal marchese Raimondino dei Lupi di Soragna nel 1377 come cappella sepolcrale della famiglia. L’interno è riccamente decorato, seppure verso la fine del XVIII secolo fu trasformato in carcere, conservando però – per fortuna! – il ciclo di affreschi realizzato da Altichiero da Zavio e i suoi collaboratori. Le pitture, eseguite tra il 1379 e il 1384, illustrano varie scene del Vangelo: dietro l’altare è affrescata una “Crocifissione”, sovrastata dall’“Incoronazione di Maria” su un trono gotico con trame di delicati trafori; di fronte, in controfacciata, sono affrescati l’“Annunciazione” e quattro episodi della vita di Gesù. Sulla parete orientale troviamo le Storie di San Giorgio e sulla parete occidentale quelle di Santa Caterina d’Alessandria (sul registro superiore) e di Santa Lucia nella fascia inferiore. Come già per le opere di Giotto, le soluzioni prospettiche e l’aderenza al dato reale, oltre alla qualità delle pitture, fanno di questo ciclo un capolavoro innovativo, antesignano delle ricerche spaziali quattrocentesche.

Lasciata la Cittadella antoniana, ci spostiamo alla volta del Palazzo della Ragione che sorge al centro di un articolato complesso di edifici comunali del primo Duecento, a cavallo tra Piazza delle Erbe e Piazza della Frutta, dove da sempre ha luogo il mercato. Il Palazzo della Ragione è stato per molti secoli la più grande sala pensile d’Europa, nota per la copertura a carena di nave rovesciata. La decorazione del ciclo sulle pareti era stata affidata a Giotto, intorno al 1317-18, che vi dipinse temi astrologici. In seguito all’incendio che investì l’edificio nel febbraio del 1420, la sala fu ridipinta con una grande ciclo dedicato all’astrologia giudiziaria , per rimanere in tema con l’attività di amministrazione della giustizia che si esercitava nella stessa sala e riprendendo la tematica giottesca.

Non distante, sull’omonima piazza, si affaccia il Duomo e l’adiacente Battistero, ed è proprio quest’ultimo il sito presso il quale ci accingiamo a chiudere il nostro giro nella Padova Urbs Picta. Fu Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio, a commissionare a Giusto de’ Menabuoi i lavori al Battistero di Padova con l’intento di rendere questo luogo un mausoleo che fosse anche uno scrigno d’arte. Menabuoi impiegò tre anni per completare l’opera, tra il 1375 ed il 1378, con un ciclo pittorico dedicato all’Antico e Nuovo Testamento.

Quando si entra nel Battistero si è colti dalla sensazione di essere abbracciati da un’ondata di colore. Alzando lo sguardo sulla cupola, il Paradiso con il Cristo Pantocratore attorniato da schiere angeliche disposte in cerchi concentrici e la Madonna accompagnata da una doppia teoria di angeli e da una tripla di Santi, in un legame simbolico tra Cristo e l’umanità. Nell’ultima schiera sono rappresentati, tra gli altri, 37 santi venerati a Padova. Sono inoltre presenti episodi della vita di San Giovanni Battista a cui è dedicato il battistero. Sulla parete alle spalle dell’altare maggiore la rara raffigurazione quasi completa dei vari episodi dell’Apocalisse così come narrata negli scritti di San Giovanni, con una sola eccezione: la bestia con sette teste che emerge dal mare ha su ogni capo delle tiare papali, il copricapo del Pontefice… perché questa curiosa licenza pittorica? Ciò è un mistero!
Dopo la Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto, il ciclo del Battistero è sicuramente il più significativo degli affreschi del Trecento a Padova, che hanno sancito la città veneta nella Lista del Patrimonio UNESCO.